Accedi
L’ Italia e il socialismo fiscale
Data: 04/12/2014 | Categoria: Press | Pubblicato da: Filippo Duretto
    




 

Il fisco ha una velocità doppia rispetto ai redditi: tra il 1995 e il 2013 il prelievo fiscale medio sulle famiglie italiane è aumentato del 40,4%, mentre i redditi nominali sono cresciuti di appena il 19,1% e quello reale e' sceso del 19%.

Eppure, in confronto ad altri Paesi, nonostante i duri anni di crisi trascorsi, la nostra situazione è ancora di relativo benessere, perché si appoggia su una ricchezza accumulata negli anni, in risparmi, case, infrastrutture, in meccanismi tradizionali di produzione e lavoro che ancora resistono. Si appoggio sui risultati del circolo virtuoso di quarant’anni di sviluppo della libera impresa, di voglia di affrancamento dalla miseria delle campagne e sulla possibilità di intraprendere e di lavorare per migliorare il benessere della propria famiglia. Sono il risultato della concreta possibilità di tradurre idee e progetti in beni commerciabili, in un contesto di impresa possibile, con vincoli amministrativi sostenibili, favorevoli al miglioramento collettivo, alla possibilità per ognuno di guadagnare di più e di vivere meglio.

Adesso invece il dramma quotidiano è reale e si può toccare con mano. Eppure i politici di turno raccontano novelle sulla diminuzione del debito pubblico, sul superamento della crisi dei consumi interni, sul rilancio di un’economia oramai asfittica.

Per la gran parte, si tratta di proposte di aumento della spesa pubblica per favorire la crescita. Invece, ci ha precipitato in questa crisi proprio l’illusione della moltiplicazione della ricchezza attraverso lo sviluppo di servizi (di Stato) e della tutela garantita di ogni aspetto della vita. Siamo atterrati malconci in una sorta di socialismo reale dove le Istituzioni si sostituiscono alla responsabilità individuale, promettono  lavoro garantito, reddito minimo garantito, diritto alla casa. Si è inventato persino un diritto di cittadinanza che è inteso come un superdiritto ad avere tutti i diritti. Ormai, nel sentire comune, anche l’educazione dei propri figli è delegata allo Stato, come se la maleducazione e i comportamenti incivili dei nostri ragazzi discendessero soltanto dalla responsabilità delle maestre elementari.

Viviamo in un socialismo reale che non riesce a soddisfare le sue stesse promesse.  Questa visione del vivere sociale ha creato un mostro che sopravvive grazie alla ricchezza creata dalle generazioni passate e facendo debiti su quelle nuove. Ci restituisce soltanto una parte di quanto viene sottratto, crea posizioni lavorative inutili e anche dannose, capaci di creare ostacolo al lavoro e all’impresa. E’ una visione che impoverisce e strangola quanto resta delle attività e del lavoro che resistono. Ancor peggio, svuota le nuove generazioni del senso di responsabilità che dovrebbe essere loro proprio. Spegne nei giovani la voglia e l’entusiasmo di mettersi in gioco per fare prevalere una pigra attesa ad un concorso o a un’assunzione diretta che “superi il precariato”. Giovani generazioni soffocate da un lessico espressione di una cultura che rende passivi e sudditi, che toglie dignità e coraggio, e alla fine anche speranza.

Non usciremo da questa crisi e da quelle che verranno se non verrà proposto un differente modello culturale.  Non basteranno le riforme di cui si parla, dalla soppressione delle Province (che non va avanti) a quella del Senato (che è scomparsa da qualche parte). Non usciremo da questa crisi se non cambieremo il modo di pensare, tra la gente, nel lavoro, nelle famiglie, nelle scuole, nelle comunità nelle quali siamo inseriti.

E’ un lavoro nuovo per l’Italia possibile, quotidiano, un’azione culturale permanente. Un modo per superare, anche nel nostro Paese, il socialismo fiscale.




    
« Torna a Press