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Pensioni, tagliare si può, ecco come
Data: 22/11/2014 | Categoria: Press | Pubblicato da: Gianbattista Rosa
    




Per risanare la spesa pubblica italiana occorre intervenire ancora sulle pensioni. E’ un fatto spiacevole ma vero, visto l’enorme divario nel peso percentuale della previdenza sulla spesa pubblica tra Italia e resto del mondo. Divario inevitabile quando un generoso sistema “a prestazione definita”, tutto a carico del settore pubblico, non viene aggiornato per decenni: l’età pensionabile è rimasta sostanzialmente invariata tra il 1960 ed il 2005, mentre l’aspettativa di vita cresceva di 9 anni. Mai fu più vero il detto che gli statisti pensano alle prossime generazioni, gli statalisti alle prossime elezioni (mio riadattamento).

Tagliare dunque, pur toccando i famigerati diritti acquisiti: ma dove è giusto farlo ? Quando tagli, il tagliato urla: sarebbe ingiusto pretendere il contrario, ma sciocco orientare il bisturi in funzione dello strepito. Bisogna trovare una logica, numeri alla mano e senza demagogia.

La sola soluzione corretta è a mio avviso quella del “default specifico”, cioè di individuare quelle realtà che, se avessero dovuto mantenere una autonomia patrimoniale e giuridica del proprio ente pensionistico (poi tutti sciaguratamente transitati in INPS senza pagare pegno)  sarebbero saltati per aria. Qui non c’è “diritto acquisito” che tenga: chi ha fatto la promessa sarebbe fallito, e la promessa non sarebbe stata onorata. Cara grazia che è arrivata l’ INPS a rilevare il debito, e siano contenti che il prezzo da pagare per evitare il default viene esatto solo ora, e non è insorto “ab initio” se non addirittura retroattivamente.

C’è un precedente, quello dei dirigenti industriali: quando l’ INPDAI, gestito da una banda di deficienti o criminali, nel 2000 si “accorse” di avere ormai un pensionato per ogni dirigente attivo e di essere al collasso  venne “salvato” dall’ INPS, con criteri discutibili ma che almeno prevedevano una tassa a carico dei dirigenti stessi, e non indifferente.

Poiché la quota maggioritaria (5 Mld€ su 9) dello squilibrio finanziario INPS, ripianato inevitabilmente a spese dell’ Erario, viene dalle pensioni degli ex dipendenti pubblici, nonché dal famigerato “parastato” (ex dipendenti Enel, SIP e Ferrovie in particolare), è lì che le pensioni devono essere tagliate. Condizioni di privilegio insostenibili, che infatti gli enti previdenziali specifici non avrebbero potuto sostenere, che vanno ridefinite per allinearle con i trattamenti previsti per chi viene dal privato. Urleranno dal dolore, e li capisco, ma giova in questo caso ricordare la non irrilevante differenza tra “lucro cessante” e “danno emergente”.

Questa soluzione correggerebbe in parte un’altra follia del sistema previdenziale italiano: non ci crederete, ma chi è andato in pensione da “ggiovane”, anzi quasi bambino,  ha oggi una pensione più alta di chi ci è andato da anziano: le pensioni infatti di chi ha tra i 50 ed i 54 anni sono nella media del 25% più alte di chi ha tra i 60 ed i 64 anni, ed esattamente doppie di chi ne ha oltre 80 (pensioni di vecchiaia e anzianità).

Tagliare si può, e si deve farlo così. Da più parti, comprensibilmente, si è anche chiesto di intervenire sulle pensioni più alte maturate con il sistema retributivo, riallineandole a quanto avrebbero generato i  contributi versati.  Per parecchie ex-casse speciali questo sarebbe sacrosanto, ma non lo è per il grosso degli ex lavoratori INPS. Infatti in passato, senza che nessuno lo dicesse, una quota molto importante ( fino a quasi la metà per i livelli medio-alti) dei contributi abili a “fare pensione” eccedenti i 36 milioni di Lire veniva di fatto “redistribuita” e non trasformata in pensione per l’interessato. In pratica, lo stato tassava le pensioni dei borghesi non solo dopo che fossero maturate, ma, in aggiunta, anche prima ! Prima di tassare per la terza volta i poveretti, andiamo ad acchiappare chi finora ha vissuta sulle spalle degli altri.




    
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